CON ME IN PARADISO — L’ADIGE / 04.12.2017

L’Adige – lunedì 4 dicembre 2017

Un lavoro originale che dimostra come il teatro possa essere una strada verso l’integrazione

Gli immigrati riscrivono il Vangelo

Tanti applausi e tutto esaurito al Portland per lo spettacolo “Con me in Paradiso”

di Antonia Dalpiaz

“Il Paradiso è nell’alto dei cieli. Ed appartiene agli altri”. Un Paradiso controverso e difficile da raggiungere, che ha molti codici di lettura nel lavoro Con me in Paradiso in scena venerdì sera al Portland per la Bella Stagione e proposto dal Gruppo Teatro Periferico diretto da Paola Manfredi, che ha dato vita nel 2016 ad un progetto partito da un laboratorio teatrale con un gruppo di richiedenti asilo  provenienti dal Senegal e dalla Guinea Conakry, ospitati nella sede di Laveno-Mombello dalla Cooperativa sociale Agrisol. I ragazzi, digiuni di teatro e con poca dimestichezza con l’italiano si sono confrontati con un testo inedito scritto da Mario Bianchi, rielaborato in modo da assemblare nella messa in scena il vissuto e la costruzione drammaturgica che ruota intorno ad un incontro in un fienile di un immigrato clandestino ed il padrone di un’ex fabbrica, attingendo dall’episodio raccontato nel Vangelo di Luca dell’incontro di Gesù e Zaccheo.

Un testo indubbiamente originale, che ha cercato di evitare gli stereotipi, trappole spesso difficili da dribblare, puntando all’intenzione di percorrere una strada diversa, ovvero quella di utilizzare lo spazio teatrale per raccontare storie di vita e  farlo non solo nel rispetto di chi le vive e le ha vissute (bello ed intenso il momento dello scambio di foto per ricordare i propri cari lontani), ma anche individuando i codici teatrali corretti per renderle credibili e leggibili.  Paola Manfredi ha guidato i “suoi” ragazzi Abdoulaye Ba, Mouhammad  Bah, Mauro Diao e Siaka Konde nel perimetro dello spazio scenico, impartendo chiare e doverose indicazioni interpretative, aperte però alla capacità di ciascuno di plasmarsi con il proprio io/personaggio in un gioco continuo fra work in progress e rappresentazione. Le lingue, italiano, francese (tradotto in scena da Loredana Troschel) e dialetti africani si sono alternati in un confronto continuo con l’attore Dario Villa, a cui è toccato anche il ruolo di “mediatore” fra culture e gioco teatrale.

Un confronto duro (buona l’idea dello scambio di vestiti che indica la volontà di entrare nel ruolo dell’altro), dove ciascuno ha difeso  se stesso e le proprie posizioni, senza vincitori né vinti, senza verità estreme, con un Gesù in mezzo (personaggio che tutti i ragazzi vorrebbero interpretare perché è il ruolo più importante, poco riconoscibile vista la loro fede musulmana, se non come “profeta”) ma che è diventato simbolo di una condivisione fatta di dolore ed indifferenza. E la crocifissione finale di uno di loro, realizzata con convincente intensità e forza comunicativa, è diventata l’emblema di un paradiso ancora lontano, che ha bisogno di percorsi nuovi, di opportunità e di corretta integrazione e come si è visto al Portland il teatro può rappresentare una di queste strade, creando centralità e offrendo visibilità a lavori di preziosa valenza sociale e umana. Tanti gli applausi finali per uno spettacolo che ha registrato il tutto esaurito.

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